Al termine dell’anno delle celebrazioni dantesche vogliamo portarvi alla scoperta di Cecco Angiolieri personaggio poco noto e poco celebrato ma che è stato linguisticamente parlando il padre dell’Alighieri.
Senese furioso, dissoluto e sempre sopra le righe
Poco si sa della sua vita privata, solo che nacque a Siena intorno al 1260 da una ricca famiglia di banchieri. Suo padre Angioliero era figlio del banchiere di papa Gregorio IX e faceva parte dei Signori del Comune e dell’ordine dei Cavalieri di Beata Maria di cui è iscritta anche la madre, monna Lisa de Salimbeni.
Di lui però sono piene le “cronache” e soprattutto le testimonianze dell’epoca sui suoi misfatti e la sua vita sregolata.
Nel 1282 ad esempio, fu multato tre volte per disturbo della quiete pubblica perché trovato fuori casa dopo il terzo scampanio comunale, considerato come una sorta di coprifuoco e nel 1291 fu implicato nel ferimento di tale Dino di Bernardo da Monteluco e subì un processo da cui ne usci come innocente. Nel 1302 invece per bisogno di soldi fu costretto a vendere un podere.
Sfidò Dante in una gara di sonetti
Di Cecco Angiolieri sappiamo però che militò come alleato dei fiorentini contro Arezzo nel 1289 e partecipò alla battaglia di Campaldino. Fu probabilmente in questa occasione che conobbe Dante che sfidò a una tenzone di sonetti.
I due dai caratteri simili si piacquero subito e fra loro per un po’ di tempo ci fu anche uno scambio epistolare a base di sonetti. Poi i dissapori e le diverse visioni della poesia causarono la rottura della loro amicizia.
Il suo spirito di ribelle emerse però anche in battaglia dato che nel 1281 quando militava fra i senesi che asserragliavano i ghibellini nel castello di Turri di Maremma fu più volte multato per essersi allontanato dal campo senza la necessaria licenza.
Sono questi peraltro gli anni più fecondi per la sua produzione poetica.
Alla sua morte, avvenuta forse nel 1312, i sei figli Meo, Deo, Angioliero, Arbolina, Sinione e Tessa dovettero rinunciare all’eredità perché gravata da troppi debiti come da documento del 25 febbraio del 1313.
Il suo ideale: donna, taverna e dadi
Morì dopo aver finito tutti i soldi e visse fra frivolezza e spensieratezza avendo come ideale di vita per sua stessa ammissione solo tre cose: la donna, la taverna e il dado.
Nelle sue rime è frequente il motivo dell’odio verso i genitori definiti avari e bigotti, ma talvolta fra le righe era velato anche un profondo senso di malinconia.
Il poeta maledetto geniale e brioso
E’ da considerare uno dei primi poeti a scrivere in volgare ed è sicuramente uno tra i più amati dai giovani, proprio per il suo il suo modo di vedere la vita: gaia e priva di freni.
All’inizio del Trecento, epoca in cui la poesia era dominata dal “Dolce Stil Novo” che rappresentava l’amore con immagini di grande delicatezza e ricercata eleganza, l’irriverente Cecco irruppe come un elefante in cristalleria componendo versi provocanti e provocatori orientati al solo elogio delle passioni terrene.
La sua produzione poetica si compone di circa 150 sonetti di cui il più celebre è “S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo” che appartiene a una secolare tradizione letteraria goliardica improntata alla dissacrazione delle convenzioni.
Più che autentica poesia, la critica moderna riconosce nella sua arte genialità e brio. Nel passato, si individuava romanticamente la fonte della sua poesia in un drammatico contrasto, mentre oggi si tende a vedere in lui un poeta essenzialmente scherzoso. Realisticamente quotidiano e dialettale.