La tradizione in una bottiglia di Corochinato
Di Manola Gaggino
Ammettiamolo, l’aperitivo è sinonimo di italianità, ma non è certo uguale da nord a sud.
E se in veneto non esiste aperitivo senza Spritz, a Firenze è d’obbligo il Negroni.
Ma qual è l’aperitivo simbolo di Genova? La superba risponde con il Corochinato, noto anche come Asinello.
Un nome che per molti non rimanderà a nulla, se non forse all’ultimo album degli Ex-Otago, band indie genovese che spopolò due anni fa al Festival di Sanremo.
Ma che cos’è il Corochinato?
Si tratta di un vino bianco aromatizzato, una sapiente miscela di ben 16 erbe che rendono questo prodotto unico nel suo genere e una chicca della tradizione, considerando che la ricetta non è mai stata modificata dal 1886. Tra gli aromi utilizzati ritroviamo l’assenzio, la genziana, il cardo, il timo, l’origano e altre erbe aromatiche tipiche dei colli del genovesato.
Vi starete chiedendo da dove nasca questo strano nome.
Il nome di battesimo, se così vogliamo chiamarlo, è figlio del luogo di produzione e della tipologia di aromatizzazione. Si tratta infatti della versione locale del Barolo Chinato piemontese, da qui la desinenza “-chinato”; mentre la radice “Coro” deriva dalla località in cui viene prodotto: Coronata, un quartiere di Genova.
Volete un’opinione onesta di una persona che, pur non essendo genovese, ha avuto modo di vivere la città? Se proponete di andare a bere un bicchiere di Corochinato verrete subito bollati come foresti (forma dialettale con cui i liguri definiscono le persone che arrivano da altri luoghi).
Il genovese D.O.C. va a bere l’asinello, nome derivato dal disegno che ritroviamo sulla bottiglia di Corochinato. L’etichetta è, difatti, un vero elogio alla tradizione dell’entroterra ligure e genovese; un piccolo quadro ricco di simboli nostrani. In primis abbiamo proprio l’asinello, animale che per secoli è stato utilizzato per trasportare dai colli alla valle i prodotti delle colture dell’entroterra. Al fianco dell’equino troviamo una figura umana. Non si tratta di un semplice contadino come si potrebbe facilmente credere, bensì di Pacciùgo, personaggio maschile protagonista di una leggenda della tradizione ligure.
Pacciùgo era un marinaio di Genova, devoto alla madonna e sposato con una donna altrettanto devota. L’uomo, durante un’uscita per mare venne fatto prigioniero dai turchi e condotto in Algeria. La moglie, disperata, si recava ogni sabato al santuario della Madonna di Coronata pregando per il ritorno del marito.
Pacciùgo fece rientro a casa un sabato dopo 12 lunghi anni. Giunto in paese chiese dove fosse la moglie e una vecchina invidiosa insinuò che la sua sposa avesse un altro uomo dal quale si recava ogni sabato. Mosso dalla gelosia, dopo il ricongiungimento con l’amata, Pacciùgo la accoltellò e la gettò in mare, pentendosi del gesto subito dopo.
Colpito dal rimorso si recò allo stesso santuario dove la moglie pregò durante la sua assenza e chiese alla Madonna il perdono per il suo gesto. Una volta rientrato a casa ritrovò la sua amata, la quale era stata salvata dalla sua devozione per la Madonna. I due si abbracciarono e rimasero insieme per il resto della loro vita.
Un altro simbolo, molto più evidente, lo ritroviamo sull’etichetta al collo della bottiglia, qui tra le parole aperitivo e genovese troviamo in disegno della lanterna, il simbolo per eccellenza della Superba.
Il Corochinato è un prodotto di nicchia, difficile da trovare fuori da Genova. Rappresenta la più pura anima ligure; un vino autentico il cui fresco sapore porta con sè le note delle fatiche dei contadini che per anni hanno coltivato i territori aspri dell’entroterra, aiutati nel trasporto delle merci dai propri animali da soma, il cui duro lavoro è celebrato quotidianamente dai genovesi che si ritrovano nei bar dei caruggi a chiedere il proprio bicchiere di asinello, accompagnandolo con qualche pezzo di focaccia, come da tradizione.